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lunedì 26 marzo 2018

Fondi comuni di investimento: occorre saper negoziare

Bene, in banca questo succede!
E avviene con l’acquisto di quote dei fondi comuni di investimento, il prodotto di investimento piu’ venduto. E’ il caso quindi di dare un po’ di informazioni al riguardo visto che mi arrivano continue sollecitazioni a scrivere per spiegare i meccanismi e le caratteristiche di questi prodotti spesso omesse (per consolidata strategia commerciale) dai consulenti bancari.
Tra le più frequenti domande che mi vengono sottoposte, una infatti e’ costante: “quando mi propongono un fondo comune di investimento a cosa devo stare attento?”
Con la sottoscrizione di un fondo comune di investimento il risparmiatore acquista una fetta di una torta, di un patrimonio comune, i cui ingredienti (titoli di diversa tipologia) sono scelti da un esperto (!!!) pasticciere (società di gestione quasi sempre controllate da una banca) in base ai gusti (proprio profilo di rischio) e ai bisogni del risparmiatore. Il valore della quota (fetta di torta) varia quotidianamente o settimanalmente e viene pubblicato sui principali quotidiani d’informazione. Attenzione: non è prevista contrattualmente alcuna garanzia di rendimento minimo o di mantenimento del capitale inizialmente versato.
Ad ogni modo il primo passo che dovrebbe fare il risparmiatore che decide di sottoscrivere quote di un fondo comune d’investimento e’ quello di tenere in considerazione alcuni elementi, specificati in modo sintetico in un prospetto di 2/3 pagine denominato KIID (acronimo di Key Investor Information Document) che contiene appunto le informazioni chiave per gli investitori. Non sostituisce il prospetto informativo, troppo lungo (13-15 pagine) per essere consultato, ma ha il vantaggio della sintesi. Mi raccomando: il documento deve essere richiesto e letto prima di sottoscrivere l’investimento, non contestualmente alla firma! E la banca e’ obbligata alla consegna. Ovviamente delle 4 sezioni di cui e’ composto il documento quella da leggere più attentamente riguarda le spese, cioè i costi sostenuti dal risparmiatore.
I fondi comuni di investimento presentano quattro voci di costo: commissioni di entrata, commissioni di uscita, commissioni di gestione e commissioni di performance. L’unica sempre presente è la commissione di gestione annua che serve a remunerare la SGR (la società che gestisce il vostro risparmio) e la rete di distribuzione (chi ve lo vende). Le altre commissioni possono non essere presenti, oppure possono essere oggetto di “trattativa” con il vostro consulente.
Ed a tal proposito occorre dire che la più subdola di tutte è la commissione di incentivo (performance fee). Si tratta di un compenso che il gestore del fondo, talvolta, si attribuisce nel caso in cui la performance superi un determinato indice o un obiettivo prefissato. La metafora del meccanico d’auto rende al riguardo . In questo caso fate quindi attenzione alla modalità e alla periodicità di calcolo dell’onere. Più è alta la frequenza con cui viene calcolata, più aumentano le occasioni di pagamento. Ma l’agguato è sempre dietro l’angolo. Infatti, a tal proposito, anche se è vero che per i fondi di diritto italiano la Banca d’Italia vieta di calcolare la commissione più di una volta ogni 12 mesi, e’ opportuno sapere che i fondi maggiormente venduti… non sono di diritto italiano!
Sono quelli di diritto estero (lussemburghesi o irlandesi) che prevedono una modalità di calcolo anche con una periodicità diversa. In tal caso chiedete i fondi con la clausola high-water mark che calcola appunto la commissione di performance tenendo conto non soltanto dei rendimenti positivi, ma anche delle eventuali perdite pregresse. Un esempio: si supponga di aver sottoscritto nel 2016 un fondo al prezzo di € 10 e che a fine anno il valore si sia ridotto a € 8. Se nel 2017 il valore del fondo fosse aumentato da € 8 a € 9, (quindi con una performance annuale positiva) a fine anno non sarebbe potuto scattare il calcolo della commissione di incentivo per l’anno in corso. Per effetto della clausola descritta, invece, finchè il valore del fondo non si sia riportato al di sopra del valore iniziale di € 10 non è previsto l’addebito della commissione

Poi c’è la commissione di ingresso, che in certi casi può arrivare anche al 5 per cento del valore investito. Negoziate efficacemente perché può essere ridotta o addirittura azzerata (soprattutto se l’acquisto e’ fatto on line) rispetto allo standard.
Molto difficile, se presente, risulta invece la “negoziazione” della commissione di uscita. Il motivo è semplice: nella fase di vendita del prodotto il consulente è disponibile a sconti pur di chiudere l’affare perché ha comunque la commissione di gestione che lo remunera. Quando invece il risparmiatore riscatta il fondo, e quindi cessa il guadagno della banca (attraverso la commissione di gestione), quest’ultimo è meno disponibile ad applicare sconti sulla commissione di uscita. Essa può essere fissa oppure decrescente nel tempo, in base al periodo di possesso del fondo. Più a lungo un risparmiatore detiene il fondo (pagando quindi più commissioni di gestione annue) minore sarà l’entità della tariffa di uscita da sostenere. Non sempre, anche per ragioni di spazio, nel KIID viene dettagliata l’entità della riduzione della commissione di uscita nel tempo. In questo caso, piuttosto che leggere le 15 pagine di un prospetto informativo, fate la domanda direttamente al consulente.
Di solito le commissioni di entrata e di uscita sono in alternativa, ma talvolta possono essere presenti entrambe.

Qualcosa in più sappiamo? Ad ogni modo non dimenticate mai il “giubbotto antiproiettile” (che puo’ essere anche la scelta di un consulente indipendente) prima di varcare la soglia delle cattedrali bancarie.

Alla prossima!

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