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mercoledì 7 febbraio 2018

L’ipocrisia di Hollywood verso il caso Woody Allen

Che Woody Allen fosse stato accusato di un crimine terribile: avere abusato nel 1992 di Dylan, figlia adottiva della sua compagna Mia Farrow, una bambina di 7 anni che lo considerava come un padre, era invece ben noto da 25 anni.
Ci sono stati processi, sentenze, valanghe di articoli sui giornali. Nessuno può dire, come Marion Cotillard, che ha lavorato con lui nel 2011 in “Midnight in Paris”: “All’epoca non sapevo molto sulla sua vita privata. Ero a conoscenza del fatto che avesse sposato una delle sue figlie e pensavo fosse davvero bizzarro. Non posso però giudicare qualcosa che non conosco. Devo dire però che se mi chiedesse oggi di lavorare con lui, mi farei più domande, scaverei più a fondo… ”. La faccenda era davanti agli occhi di tutti. 
Oggi molti attori e attrici dicono di essere pentiti di avere lavorato con Allen. Tra gli altri, Colin Firth, Rebecca Hall, Timothée Chamalet (oggi lanciato verso l’Oscar per “Chiamami col tuo nome“ di Luca Guadagnino).
Anche Mira Sorvino ora afferma che, potendo tornare indietro, non lavorerebbe più con Woody. Nel 1996 vinse l’Oscar come miglior attrice non protagonista per “La dea dell’amore” di Allen. Eppure la vicenda Dylan Farrow allora era freschissima, di soli 4 anni prima. Nessuno in America non la conosceva. Non le ha impedito di recitare per Woody e intascarsi la statuetta. 
Essere in un film di Woody Allen è sempre stato un fiore all’occhiello, una medaglia di cui andare fieri. Gli attori facevano a gara. Che importa se prendi pochi dollari di paga sindacale invece dei milioni a cui sei abituato? D’ora in poi potrai dire: io ho lavorato con Woody Allen! 
Dopo le sentenze, Dylan ha taciuto per molti anni, ma ha ricominciato a parlare nel 2013, tornando molte volte su quell’abuso. Nessuno, nell’integerrimo mondo hollywoodiano, ha mosso un dito, neanche in questi ultimi quattro anni. Ancora lo scorso dicembre, Dylan Farrow scriveva al “Los Angeles Times” per esprimere la sua frustrazione riguardo all’ipocrisia di un ambiente che ora indaga  e si indigna sugli abusi sessuali delle star ma rifiuta di dare credito alle sue affermazioni su Woody: “La verità è difficile da negare, ma facile da ignorare. Mi si spezza il cuore quando uomini e donne che ammiro lavorano con Allen, e poi rifiutano di rispondere a domande su questa questione”. 
Ora che tutte le attrici si vestono di nero ai Golden Globes per protesta contro gli abusi e che essere parte di questo movimento è la normalità – anzi, è anomalo chi non aderisce – è facile attaccare Allen. 
Sarebbe stato bello se qualcuno che crede nella versione di Dylan lo avesse fatto anche prima.

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